Anche nella produzione del vino entra in gioco il fenomeno della fermentazione – ovvero la trasformazione di zuccheri in etanolo e anidride carbonica. Senza quest’opera prodigiosa potremmo tranquillamente scordarci di Cabernet, Lambrusco, Barolo, o Nebbiolo: non avremmo altro che succo d’uva. Per quanto riguarda il processo di vinificazione, la varietà di lievito utilizzata è il “Saccharomyces cerevisiae”, grande favorito per la sua capacità di tollerare livelli alti di alcool e di anidride solforosa.
Ma nel momento in cui viene colta, l’uva porta con sé alcune varietà di levito autoctone, dei gruppi Kloeckera e Candida, che danno il la alla fermentazione. Questi organismi microcellulari spesso muoiono nel momento in cui il quantitativo di alcool raggiunge il 4-5%, lasciando spazio al più tollerante Saccharomyces cerevisiae. Nel caso di vini più corposi e liquorosi – tra cui il Porto – o di mosti dal grado zuccherino più pronunciato, si preferisce optare per la varietà Bayanus, in grado di resistere a livelli di alcol pari al 17-20%.
La fermentazione
Come abbiamo detto, si tratta di un processo che comporta la trasformazione di zucchero in etanolo e anidride carbonica. Ma chi è stato il primo a rendersi conto della sua esistenza? Quando è stato osservato scientificamente per la prima volta? Tre i nomi fondamentali: Antoine Lavoisier, Joseph Louis Gay-Lussac e Louis Pasteur.
Lavoisier, chimico francese attivo nel 1700, è il primo a dimostrare che lo zucchero contenuto nel mosto dell’uva si trasforma in alcool e anidride carbonica. Le sue intuizioni sono poi approfondite nel corso del secolo successivo da Joseph Louis Gay-Lussac, che riesce a formulare il rapporto matematico alla base di questo processo. Nel 1854, infine, Louis Pasteur dimostra che è proprio grazie a quei prodigiosi organismi che vanno sotto il nome di lieviti se la fermentazione ha luogo.